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Copertina del libro La porta delle stelle
Copertina del libro "La porta delle stelle"

Ingvild Rishøi, una delle più importanti scrittrici norvegesi contemporanee, torna in libreria con una favola natalizia antica, ricorda Lindgren e Andersen  con un pizzico di Dickens, ma anche drammaticamente contemporanea, in cui speranze e sogni infantili si scontrano con il dramma della realtà quotidiana.

Il risultato è un gioco di equilibri fra speranze, responsabilità precoce e normalità a volte irraggiungibile, anche se a Natale tutto è possibile…

La trama

Natale a Oslo.

Anzi no, a Tøyen, un quartiere bizzarro e popoloso nel centro di Est di Oslo.

Etnico, pieno di supermercati, pub e problemi, è anche il custode del meraviglioso “Giardino Botanico”: un quartiere ricco di contrasti dove vivono Melissa e Ronja.

Orfane di madre, con un padre alcolizzato, a cui è proibito mettere piede nei pub del circondario, le due ragazze provano a vivere una vita normale, costruendosi un piccolo universo di affetto e cure cercando di evitare costantemente l’attenzione dei servizi sociali.

Anche questo Natale è in equilibrio precario, così quando il custode della scuola di Ronja, offre al padre un lavoro come venditore di alberi di Natale all’aperto, diventa subito l’occasione ghiotta della stabilità che le bambine non hanno ormai da tempo.

Forse quest’anno avranno il loro abete con i regali e, chissà, alla recita di Santa Lucia Ronja sentirà, finalmente, il padre applaudire.

Ma niente dura per sempre, e Melissa e Ronja lo sanno molto bene.

Quando il padre rischia di perdere il lavoro, intervengono e, grazie a strategemmi, fantasiosi, iniziando a lavorare al posto suo.

Il sogno, che ha il sapore di autonomia e sicurezza, sembra essere più vicino che mai, fino ad un improvviso finale, brusco ed inaspettato.

Ma meno amaro di quanto ci si potrebbe aspettare.

Perché leggere “La porta delle stelle”

Perché è una storia di forza, speranza e ottimismo, piena di dolcezza e determinazione.

Ronja, tanto esile quanto sagace ed intelligente, filtra attraverso il suo sguardo gentile e generoso il paesaggio desolante della sua esistenza tratteggiando con colori nuovi anche lo squallore del quartiere in cui vive e la tragicità dell’alcolismo.

In questo modo “La porta delle Stelle”, che è il nome del pub in cui il padre si rifugia, si trasforma e diventa un simbolo di speranza che rende tutto possibile, soprattutto a Natale.

Per fortuna c’è anche la gentilezza degli estranei, quella dei passanti, di un anziano vicino di casa, di un uomo misterioso che regala un bellissimo abete.

E se il sogno di Ronja di una baita dove stare con Melissa davanti al fuoco mentre papà spala la neve sembra irraggiungibile, è Natale, e «un miracolo può sempre capitare»

Una favola dolce e amara perfetta per questo periodo, che fa riflettere, sognare e sperare.

La mia opinione

Francamente quando ho scelto “La porta delle stelle” l’ho fatto d’impulso, colpita dall’immagine della copertina: 2 bambini e una albero di Natale, che mi hanno ricordato un libro letto la prima volta tantissimi anni fa e che mi ha accompagnato tutta la vita.

In realtà mi sono trovata difronte ad un romanzo breve, ma densissimo, contemporaneo e avvolgente, capace di catturare con delicatezza e semplicità l’innocenza dei bambini contrapposta alla crudezza della povertà, dell’abbandono e dell’alcolismo.

Qui i veri protagonisti non sono i personaggi, ma l’amore familiare, il senso di responsabilità condivisa e la determinazione di Ronja e Melissa, che emergono con forza dalla tragicità della vita.

Dove una, la più piccola, rappresenta la speranza , l’altra la durezza della vita e il padre la tragicità dell’esistenza.

In questo equilibrio di ruoli, Ingvild Rishøi con la sua prosa asciutta e minimalista bilancia il realismo sociale con squarci di magia, in un continuo rimando di tristezza e promesse: il risultato è una narrazione coinvolgente e toccante grazie, anche, al racconto in prima persona.

Una favola classica ma anche un lucido racconto della contemporaneità, crudo e onirico, caratterizzato da una sottile eleganza minimalista e nordica, che si muove tra la cura dell’altro e lo sconforto, tra il conforto della speranza infantile e la fame mai sopita che trasforma le prede in predatori.

Non mi stupirei se diventasse, presto, un classico natalizio contemporaneo!

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