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Copertina del libro "Quel che affidiamo al vento" di Laura Imai Messina con un delicato acquarello che ritrae una donna di spalle con un vestito rosso su una grande roccia scura. In primo piano splendidi fiori di ciliegio rosa e sullo sfondo un cielo infinito di un tenue azzurro. In alto a destra, appena accennato, lo skyline di una citta e sopra un grande sole arancione. Accanto la scritta " Laura Imai Messina riesce a raccontare il dolore e la rinascita con sensibilità e dolcezza." Michela Marzano. IL titolo lo al centro è in un delicato rosso

In Giappone, sul fianco della Montagna della Balena c’è un immenso giardino.

Nel mezzo una cabina telefonica con un telefono scollegato.

A cosa serve?

E perché Yui, 30 anni, è disposta a proteggere quel luogo con la vita?

Quel che affidiamo al vento” di Laura Imai Messina, edito da Piemme nel 2021, è una storia delicata e densa che parla di lutto e perdita. Ma anche di gioia di vivere.

248 pagine che si leggono d’un fiato in un pomeriggio!

Anche la cosa più enorme la puoi tagliare in piccolissime parti […] Anche il problema più grande. Tutto quanto lo si può infilare in una cornice.”

La trama

Il vento soffia forte sulla Montagna della Balena, in Giappone.

E sull’immenso giardino di Bell Gardia.

Ma li’ dentro, al centro, proprio nel mezzo, c’è un tesoro.

Bizzarro, quanto prezioso.

E’ una cabina telefonica con un telefono scollegato che trasporta le voci nel vento….

Fino a chi non c’è più.

Così, ogni anno, migliaia di persone che custodiscono nel cuore una grande perdita, approdano a Bell Gardia, per parlare, affidare al vento, quello che non hanno avuto il tempo di dire prima.

Quando ancora c’era la vita.

Fra loro c’è Yui.

30 anni e un grande lutto.

Ha perso mamma e figlia nello tsunami del 2011, e si è persa.

Non può più essere nè madre nè figlia. Ma non sa cos’altro essere…

E quel telefono senza fili, può diventare il primo passo per ritrovare quel barlume di sé

Perché sulla Montagna della Balena non c’è solo dolore e possono avvenire incontri che cambiano la vita.

E’ così che incontra Takeshi, vedovo alle prese con una figlia problematica.

Due solitudini dolorose che si sfiorano, si incrociano e si sostengono.

Riusciranno Yui e Takeshi ad intraprendere il loro percorso di guarigione?

Arriverà anche per loro il miracolo della rinascita?

“Il momento in cui si incontravano iniziò ad apparire a entrambi non come il raccogliersi di due sconosciuti, bensì come un ritorno.
Era lui che tornava a lei. Era lei
che tornava a lui.”

Perché leggere ” Quel che porta il vento?”

Perché è l’occasione più unica che rara di entrare in un mondo diverso.

Lontano, eppure così vicino.

Di assumere un punto di vista nuovo sul lutto, la morte e la vita.

E farlo attraverso lo sguardo di una donna che ci è culturalmente molto vicina.

L’autrice, Laura Imai Messina, è, infatti, un’italiana trapiantata nel Sol Levante, che ci regala queste pagine di delicatezza nipponica filtrate attraverso una visione nostrana.

Rendendole, per certi versi, più comprensibili e vicine.

Il racconto si costruisce, quindi, come un puzzle di messaggi misteriosi, pagina dopo pagina, parola dopo parola, che spinge avanti nello svolgimento dei fatti.

Facendoti innamorare dei protagonisti.

E inducendo a immergerti nel divenire della storia per scoprire il destino delle persone e del bellissimo giardino.

La scrittura raffinata e lieve si fa strada nel cuore di chi legge.

E la prosa scorrevole tiene incollati alle pagine.

Fino all’ultima.

La mia opinione

“Quel che affidiamo al vento” è una storia delicata e struggente.

Piena di magia e speranza.

Una storia che racconta di anime che respirano, soffrano e aspirano ad un’occasione di rinascita.

Scritta con delicatezza ed eleganza.

Viva.

Tanto da farti immaginare un dialogo tra te, il reale, quello che si vede, e quello che non c’è più.

Che cosa diresti a… che non hai avuto il tempo di confidare?

Che cosa gli/le racconteresti di te oggi?

Cosa importa se, alla fine, hai bisogno di un telefono scollegato o semplicemente del pensiero?

Per la prima volta dal giorno dello tsunami, accettò di dubitare della fermezza che si era imposta, della decisione di tagliare in due il mondo, quello dei vivi da quello dei morti.
A parlare con chi non c’è più, pensò, non si fa forse nulla di male.
Bastava accettare che le mani non toccassero più nulla, che lo sforzo di memoria fosse tale da riempire le falle, che la gioia di amare si concentrasse non nel ricevere, ma solo nel dare 

Alla fine, riuscire a farlo è un balsamo.

Ecco perché leggere “Quel che affidiamo al vento”.

Perché parla di un dolore universale, insopportabile, ma anche di coraggio e resilienza. E di una strada che, quando ti senti in balia degli eventi, ti aiuti a guardare la perdita negli occhi

E perché è un racconto che parla del buco nero del dolore, con una vena poetica, ma che alla fine narra la vita.

Yui comprese che l’infelicità aveva sopra le ditate della gioia.
Che dentro di noi teniamo premute le impronte dell persone  che ci hanno insegnato ad amare, a essere ugualmente felici e infelici. Quelle pochissime persone che ci spiegano come distinguere i sentimenti, e come individuare le zone ibride  che ci fanno anche soffrire, ma che ci rendono  diversi. Speciali e diversi.

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