Nell’isola dei forti contrasti, più attiva del mondo, vive Augustina.
Una giovane mente geniale e libera, che ha le stampelle ma può scalare le montagne. E si diverte a mettere in crisi i suoi professori.
Ha un sogno.
Scalare la montagna dietro casa e sentire il vento della vetta sul viso.
“Il rosso vivo del rabarbaro” di Audur Ava Olafsdottir edito da Einaudi nel 2016 con la traduzione di S .Rosatti, è la storia, in appena 128 pagine, di Augustina.
Un racconto sospeso tra fiaba e quotidianità che restituisce un singolare punto di vista sulla vita, le “cose quotidiane” e la forza nascosta nell’animo delle donne.
La trama
In un placido villaggio sul mare vive Augustina.
Intorno ci sono sterminati campi di rabarbaro, dove trascorre interminabili giornate.
Fra Augustina e il rabarbaro, infatti, esiste un legame speciale.
E’ in uno di questi campi che è stata concepita. Ed è qui dove si ritrova, sola con sè stessa e sviluppa la sua singolare visione della vita.
Che ben poco ha da spartire con la placida vita del villaggio, dove gli uomini escono a pescare e le donne restano a casa.
Cantano, cuciono, cucinano, recitano e… aspettano.
Con il rabarbaro loro hanno in comune solo il profilo slanciato e flessibile e i vasetti di marmellata che si scambiano.
Ma per Augustina le cose non stanno esattamente così.
Figlia di un’ornitologa assente per lavoro, con la quale intrattiene un rapporto epistolare, e un baleniere famoso, mai conosciuto, al quale invia messaggi in bottiglia, conduce una vita tutta sua.
Vive con Nina che l’ha allevata come una madre, ma che non è sua madre.
E coltiva sogni.
Come quello di scalare la montagna dietro casa sua. Ben 854 metri: un’impresa per lei che ha le stampelle.
Ma è convinta che quello che le manca sono solo le scarpe adatte.
E Nina, gliele procurerà!
Un bel paio di scarponcini da trekking, perfetti per il suo progetto.
Riuscirà Augustina a raggiungere la vetta?
E una volta lì, sola con il vento sul viso, troverà la sua direzione?
Perché leggere il “Il rosso vivo del rabarbaro” di Audur Ava Olafsdottir?
Perché l’essenza di questo libro è l’importanza di conoscere.
Sapere e coltivare la curiosità, sempre.
Nutrire il pensiero autonomo.
Poco importata se ciò solleva contestazioni, quello che ha senso è la consapevolezza.
Il buio e il sole accecante del nord e Nina educano la mente di Augustina che si perde nelle parole e non vi si sottrae.
Non a quelle di Dostojevski e nemmeno a quelle di Vundumur, l’unico uomo dell’isola a non essere pescatore.
E nemmeno a quelle di Nina che con realismo le dice
E Augustina fa sue quelle parole.
Coltivando il suo pensiero indipendente e ribelle.
Il suo genio sregolato, convinta che se non può correre o andare in bicicletta, con le scarpe giuste, però, può scalare le montagne.
Poco importa se dopo una ce n’è subito un’altra.
L’importante è andare avanti.
Sfidarsi.
Come fa Augustina, quando si trascina come una tenerissima foca sulla spiaggia per affidare l’ennesimo messaggio in bottiglia alla clemenza del mare.
“Il rosso vivo del rabarbaro” è un piccolo gioiello letterario, di rara intensità, abbastanza semplice e ingenuo da poter trattenere l’immensa umanità di chi sa esercitare una certa curiosità innocente.
Quella che, lentamente, ti porta ovunque tu voglia, anche se spesso sembra che le gambe non possano sorreggerti.
Perché al loro posto c’è il desiderio sconfinato di ampliare gli orizzonti e superare i limiti.
Un romanzo potente, sospeso fra fiaba e quotidianità, poetico e scorrevole, che si scioglie fra le dita.
Irresistibile!
La mia opinione
“Il rosso vivo del rabarbaro” è una fiaba reale.
Dolorosamente quotidiana.
In cui un’adolescente ha ali immense per volare, ma sbatte contro le pareti della consuetudine.
A scuola gli insegnanti non comprendono la sua genialità creativa.
Nella vita di tutti i giorni le sue gambe non le permettono di fare molte cose.
L’unica via d’uscita è la mente.
Che Augustina, giorno dopo giorno coltiva con la sua innocente curiosità e l’indomita forza di volontà.
Quella che le fa sognare di poter scalere la montagna dietro casa sua. E tutte le montagne del mondo.
Ed è proprio lì, nel “Mito della Vetta” che si gioca tutto il racconto.
Sulla cima, come luogo di assoluta libertà , per raggiungere la quale sono necessarie scarpe adatte.
La metafora del percorso verso quella conoscenza che rende liberi.
Un romanzo, questo che fa riflettere su tematiche importanti: la diversità, la forza e il coraggio che solo i sogni sono in grado di sostenere.
E lo fa con leggerezza, intrecciandole alla vita vita quotidiana di un’adolescente degli anni ’70, scandita dal rock e dalla libertà di quegli anni.
Da leggere tutto d’un fiato!